19 Luglio 1992. Venti anni dopo.

Ci sono eventi che segnano una cicatrice permanente nella coscienza collettiva di una nazione.

Sono passati 20 anni dal 1992, e nonostante allora non avessi nemmeno 10 anni, ho ancora un ricordo abbastanza vivido sia del 23 Maggio che del 19 Luglio di quell’anno.

Ricordo cosa stavo facendo quando ho saputo delle due stragi.

Naturalmente, con un’infantile comprensione, allora capace di dividere il mondo più o meno in buoni e cattivi, non potevo davvero capire il significato vero di quello che stava succedendo.

So solo che con il passare degli anni, queste due stragi e le persone di Falcone e Borsellino hanno assunto per me un valore simbolico e in qualche modo prezioso.

Credo sia davvero il momento in cui ha iniziato a formarsi la mia coscienza civica e che in qualche modo abbia iniziato a capire quali sono i miei valori più importanti e preziosi.

Dubito si verrà mai a sapere la verità, in particolare riguardo l’uccisione di Paolo Borsellino.

Ma oggi voglio solo pensare al futuro, con uno sguardo ottimista come quello di Paolo Borsellino, che nella sua ultima lettera, scritta proprio la mattina del 19 Luglio 1992, parlava di chi sarebbe venuto dopo di lui.

Parlava di noi.

E sono ottimista perchè vedo che verso [la criminalità mafiosa], i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarantanni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta.
— Paolo Borsellino. 19 Luglio 1992.

19 Luglio 1992

Ormai ricordo praticamente a memoria la parte centrale di questo discorso di Paolo Borsellino, durante la veglia funebre organizzata il 20 Giugno 1992 in onore di Giovanni Falcone.

Certi passaggi sono bellissimi, ed altri una denuncia terribile, tuttora attuale e pesante come un macigno.

Un movimento culturale e morale

Ormai da anni la lettura di un giornale equivale ad una forma di esercizio quotidiano di masochismo. Una specie di lunga elencazione di disgrazie varie ed eventuali. Morti ammazzati, criminalità, disastri naturali, epidemie (finte), corruzione, politici che blaterano su tutto lo scibile.

Oggi volevo invece segnalare un bellissimo articolo di Nando Dalla Chiesa, pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” di oggi, dal titolo “Il Ritorno dell’Antimafia tra i banchi di scuola”. Le iniziative che vi sono descritte non possono non farmi venire in mente quello che diceva Borsellino:

La lotta alla mafia […] non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti, e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà, che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della complicità, e quindi della contiguità”.

E’ per questo che per una volta tanto leggere articoli come questo mi riempie il cuore di speranza.

Da grande mi piacerebbe fare il contrabbandiere. Così guadagno bene, mi compro la motocicletta e non devo faticare troppo”.
Scritto su un tema in classe, con la massima innocenza.

Brindisi, scuole medie, quartiere Perrino, uno dei più degradati della città. Piccolo segno di un pericolo perennemente in agguato. Perché qui il contrabbando è sempre stata una delle attività più redditizie e allettanti per giovani senza lavoro. Ovvio, in un porto proteso verso l’Albania, la Grecia e i Balcani; cavallo di Troia negli anni passati per una criminalità pronta a tutto, con campi di azione che andavano dalle campagne dell’interno fino al Montenegro.
Per fortuna (ma sarebbe meglio dire grazie alla magistratura e agli investigatori pugliesi) non è accaduto quel che solo dieci anni fa sembrava inevitabile: la trasformazione della regione in una nuova Campania, terra di conquista per camorra e Sacra Corona Unita.

Quel che non si sa però è il ruolo che in questa sfida tra il sud della Puglia e la criminalità ha giocato proprio la scuola. Che a Brindisi ha fatto quel che nessuno si sarebbe mai aspettato. In una città dove la sinistra non ha quasi mai brillato, dove non esisteva un movimento degli studenti, ci hanno pensato degli insegnanti a costruire una linea di resistenza, la straordinaria Maginot della scuola pubblica. Insegnanti di liceo, di istituti tecnici e professionali, della scuola dell’obbligo – elementari comprese -, uniti nel costruire un fitto reticolo di iniziative per promuovere tra i propri studenti e nella provincia intera gli anticorpi civili della democrazia.

Chissà come sarebbe andata se proprio a metà degli anni novanta la scuola brindisina non avesse avuto quell’eccezionale colpo di reni che portò in città Gherardo Colombo e Pino Arlacchi, Carlo Smuraglia ed Enzo Macrì.
Ora i piccoli segni che tornano, i temi, le frasi smozzicate orecchiate in aula e nei corridoi, il clima generale del paese, hanno indotto quegli insegnanti e altri che allora non c’erano a lanciare una nuova mobilitazione. Ad aprire, per usare le loro parole, una fase 2 nella didattica antimafia. E questa settimana, sotto una scarica infinita di acquazzoni che facevano livido il mare dentro il porto, è partito il nuovo seminario di formazione per docenti. Andrà avanti tutto l’anno, ci si sono iscritti circa centocinquanta insegnanti. Come non accade a Roma o a Milano. E come accade raramente a Napoli o Palermo. Nando Benigno, atipica figura di professore di filosofia e oste, ora in pensione ma ben combattivo con la scuola di formazione politica Antonino Caponnetto, ha spiegato venerdì ai suoi colleghi il senso di questa nuova fase. “Siamo qui”, ha detto nell’aula magna del Liceo Scientifico “Monticelli” dedicata a Mauro, un allievo della scuola ucciso dai clan negli anni novanta, “perché in questo periodo sono cambiate troppe cose. Soprattutto dobbiamo fare i conti con i modelli di vita promossi per quindici anni dalla televisione, e con i messaggi che giungono ogni giorno dalle istituzioni”. Accanto a lui annuivano Raffaella Argentieri docente di italiano e storia al Geometri “Belluzzi” e Sandro De Rosa, critico letterario in forza al Monticelli, tutti e due storici esponenti brindisini delle striminzite truppe della legalità. Di fronte a loro, mentre si stagliava sullo sfondo la sagoma di un maresciallo dei carabinieri, si allineavano volti anonimi ma densi di storia. Quello di Elvira Dalò, per esempio, quasi una veterana della lotta al bullismo, quartiere Cappuccini-Santa Chiara, studi da pedagogista. Ora fa la dirigente scolastica ma continua a seguire personalmente gli incontri “di mediazione” con i ragazzi -per affermare l’importanza delle regole- o i programmi di cura del verde. Oppure i volti giovani di tre professoresse della Kennedy-Mameli. “Certo, lo sappiamo, è un’esperienza in controtendenza rispetto all’antipolitica, la nostra: quella del consiglio comunale dei ragazzi. Un sindaco e degli assessori eletti dagli studenti, che sono andati anche in Municipio, quello vero, a esporre il loro punto di vista sulla città agli amministratori”. Retorica? Solo chi non conosce lo stato di abbandono e di degrado di tanti consigli comunali del sud lo può pensare.

Ecco poi il progetto Leges, un osservatorio provinciale sulla legalità. Ne fa parte Anna Rosa Lezzi, del Tecnico Industriale Majorana. Si ritrovano insieme dalle elementari alle superiori, lavorano con assistenti sociali per contrastare il bullismo, cercano di valorizzare le buone pratiche giornaliere (pagare il biglietto dell’autobus, rispettare l’arredo pubblico) e di fare incontrare i ragazzi con esponenti delle forze dell’ordine in grado di comunicare loro la forza dell’esempio.

Ma forse il progetto che dipinge meglio i lavori in corso è quello raccontata da Alessandra Lo Tesoriere, Liceo scientifico “Epifanio Ferdinandi” di Mesagne, una specie di Casal di Principe degli anni novanta. “Abbiamo coinvolto le prime classi, sì proprio le prime classi, in un progetto di educazione alla legalità. Abbiamo fatto venire anche personalità come Giuseppe Ayala ed Elio Veltri. Difficoltà con le famiglie? Sì, quando abbiamo portato i ragazzi a visitare i terreni confiscati, quelli in cui lavorano le cooperative. I genitori avevano paura che gli capitasse qualcosa, sa, una volta Mesagne era il cuore della Sacra Corona Unita e ancora l’atmosfera si sente. Invece è andata bene. E anzi, la vuole sapere una cosa? Che proprio i più piccoli, i ragazzi della I°B, oggi in seconda, hanno girato un bellissimo videodocumentario sulla mafia. Ayala quando l’ha visto è rimasto a bocca aperta”.

Ecco, è questo formidabile brulicare di fatti e di idee che si è ritrovato la scorsa settimana a inaugurare la fase 2 della didattica antimafia. Gli ospiti da fuori? Di nuovo Enzo Macrì il magistrato calabrese, ma pure Anna Canepa, magistrata da poco in forza alla Procura nazionale antimafia. E poi Antonella Mascali e Riccardo Orioles, Stefania Pellegrini e don Luigi Ciotti. “Chi c’è dietro di noi? Nessuno ,” risponde Nando Benigno, “faremo tutto da soli”.
L’idea in ogni caso è di collegarsi con le altre città. Perché qua non c’è da scherzare. Ma nemmeno a Milano
”.

TRA I BANCHI DI SCUOLA
A Brindisi un gruppo di professori sta costruendo
una nuova “Maginot”. Per lasciare i boss fuori dal futuro
di Nando Dalla Chiesa
“Da grande mi piacerebbe
fare il contrabbandiere.
Così
guadagno bene, mi
compro la motocicletta e
non devo faticare troppo”.
Scritto su un tema in classe,
con la massima innocenza.
Brindisi, scuole medie, quartiere
Perrino, uno dei più degradati
della città. Piccolo segno
di un pericolo perennemente
in agguato. Perché qui
il contrabbando è sempre stata
una delle attività più redditizie
e allettanti per giovani
senza lavoro. Ovvio, in un
porto proteso verso l’Albania,
la Grecia e i Balcani; cavallo
di Troia negli anni passati
per una criminalità pronta
a tutto, con campi di azione
che andavano dalle campagne
dell’interno fino al
M o n t e n e gro .
Per fortuna (ma sarebbe meglio
dire grazie alla magistratura
e agli investigatori pugliesi)
non è accaduto quel
che solo dieci anni fa sembrava
inevitabile: la trasformazione
della regione in una
nuova Campania, terra di
conquista per camorra e Sacra
Corona Unita. Quel che
non si sa però è il ruolo che in
questa sfida tra il sud della Puglia
e la criminalità ha giocato
proprio la scuola. Che a Brindisi
ha fatto quel che nessuno
si sarebbe mai aspettato. In
una città dove la sinistra non
ha quasi mai brillato, dove
non esisteva un movimento
degli studenti, ci hanno pensato
degli insegnanti a costruire
una linea di resistenza,
la straordinaria Maginot
della scuola pubblica. Insegnanti
di liceo, di istituti tecnici
e professionali, della
scuola dell’obbligo – elementari
comprese -, uniti nel costruire
un fitto reticolo di iniziative
per promuovere tra i
propri studenti e nella provincia
intera gli anticorpi civili
della democrazia.
C hissà come sarebbe andata
se proprio a metà degli anni
novanta la scuola brindisina
non avesse avuto
quell’eccezionale colpo di reni
che portò in città Gherardo
Colombo e Pino Arlacchi,
Carlo Smuraglia ed Enzo Macrì.
Ora i piccoli segni che
tornano, i temi, le frasi smozzicate
orecchiate in aula e nei
corridoi, il clima generale del
paese, hanno indotto quegli
insegnanti e altri che allora
non c’erano a lanciare una
nuova mobilitazione. Ad
aprire, per usare le loro parole,
una fase 2 nella didattica
antimafia. E questa settimana,
sotto una scarica infinita
di acquazzoni che facevano
livido il mare dentro il porto,
è partito il nuovo seminario
di formazione per docenti.
Andrà avanti tutto l’anno, ci
si sono iscritti circa centocinquanta
insegnanti. Come non
accade a Roma o a Milano. E
come accade raramente a Napoli
o Palermo. Nando Benigno,
atipica figura di profespinge
meglio i lavori in corso
è quello raccontata da Alessandra
Lo Tesoriere, Liceo
scientifico “Epifanio Ferdinandi”
di Mesagne, una specie
di Casal di Principe degli
anni novanta. “Abbiamo coinvolto
le prime classi, sì proprio
le prime classi, in un progetto
di educazione alla legalità.
Abbiamo fatto venire anche
personalità come Giuseppe
Ayala ed Elio Veltri.
Difficoltà con le famiglie? Sì,
quando abbiamo portato i ragazzi
a visitare i terreni confiscati,
quelli in cui lavorano
le cooperative. I genitori avevano
paura che gli capitasse
qualcosa, sa, una volta Mesagne
era il cuore della Sacra
Corona Unita e ancora l’atmosfera
si sente. Invece è andata
bene. E anzi, la vuole sapere
una cosa? Che proprio i
più piccoli, i ragazzi della I°
B, oggi in seconda, hanno girato
un bellissimo videodocumentario
sulla mafia. Ayala
quando l’ha visto è rimasto a
bocca aperta”.
E cco, è questo formidabile
brulicare di fatti e di idee
che si è ritrovato la scorsa settimana
a inaugurare la fase 2
della didattica antimafia. Gli
ospiti da fuori? Di nuovo Enzo
Macrì il magistrato calabrese,
ma pure Anna Canepa,
magistrata da poco in forza
alla Procura nazionale antimafia.
E poi Antonella Mascali
e Riccardo Orioles, Stefania
Pellegrini e don Luigi Ciotti.
“Chi c’è dietro di noi? Ness
u n o ,” risponde Nando Benigno,
“faremo tutto da soli”.
L’idea in ogni caso è di collegarsi
con le altre città. Perché
qua non c’è da scherzare.
Ma nemmeno a Milano”.

Germogli

Trapani sfila per un poliziotto, ma la politica non c’è

Di fronte a certi fatti, relegati, e con moderazione, alle cronache locali, la domanda: ma da che parte sta la politica, al di là delle parole? È obbligatoria. A Trapani, donne, uomini, ragazzi, ragazze, cittadini, la Cgil, sindacalisti della Cisl e della Uil, i sindacati di polizia, il Presidente di Confindustria, Davide Durante, l’Api, per la prima volta, nella storia della città, densa di omertà, hanno sfilato, per esprimere solidarietà ad un servitore dello Stato, vivo, il Capo della Squadra Mobile Giuseppe Linares, il solo dirigente di Polizia, in Italia e non solo, a vivere scortato, oggetto di gravi minacce mafiose.

L’ultima manifestazione contro la mafia a Trapani risale all’indomani dell’omicidio dell’agente penitenziario, Giusepe Montalto, era il 1995. “Io sto con Linares”, ma anche “Io non ho paura della mafia” e la combatto a viso aperto. Un’affermazione densa di coraggio in una terra dove il coraggio è quasi sempre in ferie, mentre quotidianamente, forse, più che altrove, Cosa Nostra, guidata dal suo capo Matteo Messina Denaro, fa affari tessendo la tela con la politica. Un segno importante, dunque, perché “rivoluzionario”. I cittadini stanno imparando a ribellarsi. Mentre la politica continua, muta, a guardarli. Al corteo non ha partecipato il sindaco di Trapani, Fazio del Pdl che, si era limitato ad inviare al dottor Linares una lettera di solidarietà privata, e neppure il Presidente della provincia Turano dell’Udc, neppure il senatore trapanese della commissione ambiente, Antonio D’Alì, ex sottosegretario all’Interno del Pdl. Il solo Gonfalone era quello del comune di Erice, sorretto dal sindaco, che camminava accanto ai sindaci di Campobello di Mazara, di Tranchida, di Caravà e del presidente del Consiglio provinciale, Poma.

Amministrazioni di centro-sinistra. Un fatto grave, ma non sorprendente. Le parole del sindaco di Trapani: “La mafia esiste perché esiste l´antimafia”, ancora risuonano nella memoria. Come l’ordine di trasferimento dell’ex Prefetto di Trapani, Sodano, colpevole di far rispettare la legge, senza quella necessaria moderazione per non risultare scomodo, impartito dal capomafia di Trapani, Francesco Pace in un salotto della città, come svelato da intercettazione. Nel 2003, infatti, Sodano fu trasferito ad Agrigento, la richiesta di cittadinanza onoraria votata all’unanimità dal Consiglio Comunale è da sei anni in attesa di essere conferita, mentre la Procura di Palermo indaga sul suo trasferimento. Insomma, i cittadini di Trapani hanno sfondato la porta dell’omertà e hanno iniziato il cammino della civiltà. Mentre la politica, con il suo silenzio complice, stà, ancora, al di là di quella porta, senza restare con le mani in mano, vedasi il ddl sulle intercettazioni, che distruggerà un prezioso strumento per cancellare la mafia e i suoi rapporti con la politica.

Sandra Amurri, 6 Luglio 2009, Antefatto.it