19 Luglio 1992. Venti anni dopo.

Ci sono eventi che segnano una cicatrice permanente nella coscienza collettiva di una nazione.

Sono passati 20 anni dal 1992, e nonostante allora non avessi nemmeno 10 anni, ho ancora un ricordo abbastanza vivido sia del 23 Maggio che del 19 Luglio di quell’anno.

Ricordo cosa stavo facendo quando ho saputo delle due stragi.

Naturalmente, con un’infantile comprensione, allora capace di dividere il mondo più o meno in buoni e cattivi, non potevo davvero capire il significato vero di quello che stava succedendo.

So solo che con il passare degli anni, queste due stragi e le persone di Falcone e Borsellino hanno assunto per me un valore simbolico e in qualche modo prezioso.

Credo sia davvero il momento in cui ha iniziato a formarsi la mia coscienza civica e che in qualche modo abbia iniziato a capire quali sono i miei valori più importanti e preziosi.

Dubito si verrà mai a sapere la verità, in particolare riguardo l’uccisione di Paolo Borsellino.

Ma oggi voglio solo pensare al futuro, con uno sguardo ottimista come quello di Paolo Borsellino, che nella sua ultima lettera, scritta proprio la mattina del 19 Luglio 1992, parlava di chi sarebbe venuto dopo di lui.

Parlava di noi.

E sono ottimista perchè vedo che verso [la criminalità mafiosa], i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarantanni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta.
— Paolo Borsellino. 19 Luglio 1992.

“Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima e civilissima”. Impopolare, ma mai così vero

Mi giunge voce della morte di Tommaso Padoa-Schioppa.

Sono sinceramente dispiaciuto.
E’ stato uno dei pochi ministri che abbiamo avuto che fosse di indiscussa competenza e che sapeva veramente fare bene il compito che era stato chiamato ad assolvere.

Probabilmente rimpiangerò nostalgicamente per anni una figura del genere.

Una persona che preferiva risultare impopolare nelle dichiarazioni e nei fatti, ma fare scelte intelligenti per il futuro del paese.

Ne abbiamo un disperato bisogno in questo momento di persone del genere.

La polemica anti tasse è irresponsabile. Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima e civilissima, un modo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili come la salute, la sicurezza, l’istruzione e l’ambiente” — Tommaso Padoa-Schioppa

19 Luglio 1992

Ormai ricordo praticamente a memoria la parte centrale di questo discorso di Paolo Borsellino, durante la veglia funebre organizzata il 20 Giugno 1992 in onore di Giovanni Falcone.

Certi passaggi sono bellissimi, ed altri una denuncia terribile, tuttora attuale e pesante come un macigno.

Centro di riciclo di Vedelago

Questo è un video molto interessante sul centro di riciclo di Vedelago, in provincia di Treviso.
Una bella risposta ai fanatici degli inceneritori, che sono solo una follia non eco-sostenibile.

E’ molto bello vedere che a cercarla c’è un po’ di normalità anche in Italia.
Visto come siamo ridotti in questo paese, un centro di riciclo di materiali plastici, acciaio ed alluminio sembra quasi fantascienza.

Molto interessante anche il concetto di “responsabilità civica”, nell’effettuare la raccolta differenziata.

Piercamillo Davigo – Otto e mezzo – Comandano i corrotti?

Piercamillo Davigo, durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2006 (Foto di Francesco Garufi)

La puntata di Otto e Mezzo del 15 Febbraio andava in onda pochi giorni prima del diciottesimo anniversario di Mani Pulite.

Ospiti, Massimo Franco, notista del Corriere della Sera, e Piercamillo Davigo, uno dei pubblici ministeri dell’originario pool di Milano dell’inchiesta Mani Pulite ed ora Consigliere di Cassazione.

Il titolo della puntata era “Comandano i corrotti?”

Lo streaming dell’intera puntata (32 minuti che veramente meritano) lo trovate qui.

Come al solito Davigo è stato efficacissimo e devastante. Ancor di più in questo contesto, in quanto le saltuarie domande di Franco, tendenzialmente cerchiobottiste o tese ad alzare una cortina fumogena con i soliti noti argomenti da infotainment politico, venivano continuamente ribattute con risposte precise, secche e sensate.

In alcuni momenti Franco sembrava quasi assente e mostrava difficoltà in un confronto con argomenti sostanzialmente inediti per la televisione.

Anche qui un po’ di best of:

Una volta mi è capitato di parlare con un segretario di partito […], che mi manifestò la sua intenzione di presentare una legge che intendeva vietare ai magistrati di candidarsi alle elezioni politiche. Io gli risposi che in tutti i paesi del mondo i diritti politici li tolgono ai delinquenti, è solo in Italia che si pensa di toglierli ai giudici.

Si è fatta scattare in ambito politico la presunzione di non colpevolezza che è tipica del procedimento penale, senza le cautele che una persona normale usa nella vita di tutti i giorni. […] Si rivendica l’attesa della sentenza definitiva, cioè del terzo grado di giudizio, dimenticandosi che questo vale per vedere se una persona deve o meno essere punita, non per adottare cautele. Se una persona è condannata per pedofilia solo con sentenza di primo grado, chi le affiderebbe la propria figlia per accompagnarla a scuola?

Quando Cuccia, presidente di Mediobanca, venne intervistato dai giornalisti dopo aver deposto come persona informata sui fatti alla Procura di Ravenna, alla domanda di un giornalista se i bilanci della Ferruzzi Finanziaria fossero falsi, rispose: <<Non ne ho mai visto uno che non lo fosse>>

Io mi sono trovato una volta negli Stati Uniti oggetto di divertita curiosità da parte dei colleghi americani, quando hanno scoperto che in Italia si fanno indagini sulla corruzione. E alla mia sorpresa del loro stupore, mi hanno detto: <<Ma è troppo difficile! Come fate a fare le indagini sulla corruzione?>>. Dico: <<Ma perchè voi cosa fate? Li lasciate rubare?>> La risposta è stata: <<No, noi gli mandiamo un agente sotto copertura ad offrirgli dei soldi. Se li prende lo arrestiamo!>>. Cioè lo chiamano: Test di integrità.”

Lo stato occidentale moderno si fonda sul principio della divisione dei poteri. La divisione dei poteri ha senso, se i dissensi tra i poteri sono fisiologici, perché se andassero sempre d’accordo non ci sarebbe bisogno della divisione dei poteri. Un pochettino come i diritti di libertà.
I diritti di libertà sono stati conferiti per poter parlar male di chi ha il potere, perché per parlar bene c’erano già i cortigiani.

Ed il migliore di tutti:

Franco: <<C’è un modo per rompere questo circolo vizioso fra voi e la politica, dottor Davigo?>>
Davigo: <<Ah, certo che c’è! Basta smettere di rubare!>>

Un movimento culturale e morale

Ormai da anni la lettura di un giornale equivale ad una forma di esercizio quotidiano di masochismo. Una specie di lunga elencazione di disgrazie varie ed eventuali. Morti ammazzati, criminalità, disastri naturali, epidemie (finte), corruzione, politici che blaterano su tutto lo scibile.

Oggi volevo invece segnalare un bellissimo articolo di Nando Dalla Chiesa, pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” di oggi, dal titolo “Il Ritorno dell’Antimafia tra i banchi di scuola”. Le iniziative che vi sono descritte non possono non farmi venire in mente quello che diceva Borsellino:

La lotta alla mafia […] non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti, e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà, che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della complicità, e quindi della contiguità”.

E’ per questo che per una volta tanto leggere articoli come questo mi riempie il cuore di speranza.

Da grande mi piacerebbe fare il contrabbandiere. Così guadagno bene, mi compro la motocicletta e non devo faticare troppo”.
Scritto su un tema in classe, con la massima innocenza.

Brindisi, scuole medie, quartiere Perrino, uno dei più degradati della città. Piccolo segno di un pericolo perennemente in agguato. Perché qui il contrabbando è sempre stata una delle attività più redditizie e allettanti per giovani senza lavoro. Ovvio, in un porto proteso verso l’Albania, la Grecia e i Balcani; cavallo di Troia negli anni passati per una criminalità pronta a tutto, con campi di azione che andavano dalle campagne dell’interno fino al Montenegro.
Per fortuna (ma sarebbe meglio dire grazie alla magistratura e agli investigatori pugliesi) non è accaduto quel che solo dieci anni fa sembrava inevitabile: la trasformazione della regione in una nuova Campania, terra di conquista per camorra e Sacra Corona Unita.

Quel che non si sa però è il ruolo che in questa sfida tra il sud della Puglia e la criminalità ha giocato proprio la scuola. Che a Brindisi ha fatto quel che nessuno si sarebbe mai aspettato. In una città dove la sinistra non ha quasi mai brillato, dove non esisteva un movimento degli studenti, ci hanno pensato degli insegnanti a costruire una linea di resistenza, la straordinaria Maginot della scuola pubblica. Insegnanti di liceo, di istituti tecnici e professionali, della scuola dell’obbligo – elementari comprese -, uniti nel costruire un fitto reticolo di iniziative per promuovere tra i propri studenti e nella provincia intera gli anticorpi civili della democrazia.

Chissà come sarebbe andata se proprio a metà degli anni novanta la scuola brindisina non avesse avuto quell’eccezionale colpo di reni che portò in città Gherardo Colombo e Pino Arlacchi, Carlo Smuraglia ed Enzo Macrì.
Ora i piccoli segni che tornano, i temi, le frasi smozzicate orecchiate in aula e nei corridoi, il clima generale del paese, hanno indotto quegli insegnanti e altri che allora non c’erano a lanciare una nuova mobilitazione. Ad aprire, per usare le loro parole, una fase 2 nella didattica antimafia. E questa settimana, sotto una scarica infinita di acquazzoni che facevano livido il mare dentro il porto, è partito il nuovo seminario di formazione per docenti. Andrà avanti tutto l’anno, ci si sono iscritti circa centocinquanta insegnanti. Come non accade a Roma o a Milano. E come accade raramente a Napoli o Palermo. Nando Benigno, atipica figura di professore di filosofia e oste, ora in pensione ma ben combattivo con la scuola di formazione politica Antonino Caponnetto, ha spiegato venerdì ai suoi colleghi il senso di questa nuova fase. “Siamo qui”, ha detto nell’aula magna del Liceo Scientifico “Monticelli” dedicata a Mauro, un allievo della scuola ucciso dai clan negli anni novanta, “perché in questo periodo sono cambiate troppe cose. Soprattutto dobbiamo fare i conti con i modelli di vita promossi per quindici anni dalla televisione, e con i messaggi che giungono ogni giorno dalle istituzioni”. Accanto a lui annuivano Raffaella Argentieri docente di italiano e storia al Geometri “Belluzzi” e Sandro De Rosa, critico letterario in forza al Monticelli, tutti e due storici esponenti brindisini delle striminzite truppe della legalità. Di fronte a loro, mentre si stagliava sullo sfondo la sagoma di un maresciallo dei carabinieri, si allineavano volti anonimi ma densi di storia. Quello di Elvira Dalò, per esempio, quasi una veterana della lotta al bullismo, quartiere Cappuccini-Santa Chiara, studi da pedagogista. Ora fa la dirigente scolastica ma continua a seguire personalmente gli incontri “di mediazione” con i ragazzi -per affermare l’importanza delle regole- o i programmi di cura del verde. Oppure i volti giovani di tre professoresse della Kennedy-Mameli. “Certo, lo sappiamo, è un’esperienza in controtendenza rispetto all’antipolitica, la nostra: quella del consiglio comunale dei ragazzi. Un sindaco e degli assessori eletti dagli studenti, che sono andati anche in Municipio, quello vero, a esporre il loro punto di vista sulla città agli amministratori”. Retorica? Solo chi non conosce lo stato di abbandono e di degrado di tanti consigli comunali del sud lo può pensare.

Ecco poi il progetto Leges, un osservatorio provinciale sulla legalità. Ne fa parte Anna Rosa Lezzi, del Tecnico Industriale Majorana. Si ritrovano insieme dalle elementari alle superiori, lavorano con assistenti sociali per contrastare il bullismo, cercano di valorizzare le buone pratiche giornaliere (pagare il biglietto dell’autobus, rispettare l’arredo pubblico) e di fare incontrare i ragazzi con esponenti delle forze dell’ordine in grado di comunicare loro la forza dell’esempio.

Ma forse il progetto che dipinge meglio i lavori in corso è quello raccontata da Alessandra Lo Tesoriere, Liceo scientifico “Epifanio Ferdinandi” di Mesagne, una specie di Casal di Principe degli anni novanta. “Abbiamo coinvolto le prime classi, sì proprio le prime classi, in un progetto di educazione alla legalità. Abbiamo fatto venire anche personalità come Giuseppe Ayala ed Elio Veltri. Difficoltà con le famiglie? Sì, quando abbiamo portato i ragazzi a visitare i terreni confiscati, quelli in cui lavorano le cooperative. I genitori avevano paura che gli capitasse qualcosa, sa, una volta Mesagne era il cuore della Sacra Corona Unita e ancora l’atmosfera si sente. Invece è andata bene. E anzi, la vuole sapere una cosa? Che proprio i più piccoli, i ragazzi della I°B, oggi in seconda, hanno girato un bellissimo videodocumentario sulla mafia. Ayala quando l’ha visto è rimasto a bocca aperta”.

Ecco, è questo formidabile brulicare di fatti e di idee che si è ritrovato la scorsa settimana a inaugurare la fase 2 della didattica antimafia. Gli ospiti da fuori? Di nuovo Enzo Macrì il magistrato calabrese, ma pure Anna Canepa, magistrata da poco in forza alla Procura nazionale antimafia. E poi Antonella Mascali e Riccardo Orioles, Stefania Pellegrini e don Luigi Ciotti. “Chi c’è dietro di noi? Nessuno ,” risponde Nando Benigno, “faremo tutto da soli”.
L’idea in ogni caso è di collegarsi con le altre città. Perché qua non c’è da scherzare. Ma nemmeno a Milano
”.

TRA I BANCHI DI SCUOLA
A Brindisi un gruppo di professori sta costruendo
una nuova “Maginot”. Per lasciare i boss fuori dal futuro
di Nando Dalla Chiesa
“Da grande mi piacerebbe
fare il contrabbandiere.
Così
guadagno bene, mi
compro la motocicletta e
non devo faticare troppo”.
Scritto su un tema in classe,
con la massima innocenza.
Brindisi, scuole medie, quartiere
Perrino, uno dei più degradati
della città. Piccolo segno
di un pericolo perennemente
in agguato. Perché qui
il contrabbando è sempre stata
una delle attività più redditizie
e allettanti per giovani
senza lavoro. Ovvio, in un
porto proteso verso l’Albania,
la Grecia e i Balcani; cavallo
di Troia negli anni passati
per una criminalità pronta
a tutto, con campi di azione
che andavano dalle campagne
dell’interno fino al
M o n t e n e gro .
Per fortuna (ma sarebbe meglio
dire grazie alla magistratura
e agli investigatori pugliesi)
non è accaduto quel
che solo dieci anni fa sembrava
inevitabile: la trasformazione
della regione in una
nuova Campania, terra di
conquista per camorra e Sacra
Corona Unita. Quel che
non si sa però è il ruolo che in
questa sfida tra il sud della Puglia
e la criminalità ha giocato
proprio la scuola. Che a Brindisi
ha fatto quel che nessuno
si sarebbe mai aspettato. In
una città dove la sinistra non
ha quasi mai brillato, dove
non esisteva un movimento
degli studenti, ci hanno pensato
degli insegnanti a costruire
una linea di resistenza,
la straordinaria Maginot
della scuola pubblica. Insegnanti
di liceo, di istituti tecnici
e professionali, della
scuola dell’obbligo – elementari
comprese -, uniti nel costruire
un fitto reticolo di iniziative
per promuovere tra i
propri studenti e nella provincia
intera gli anticorpi civili
della democrazia.
C hissà come sarebbe andata
se proprio a metà degli anni
novanta la scuola brindisina
non avesse avuto
quell’eccezionale colpo di reni
che portò in città Gherardo
Colombo e Pino Arlacchi,
Carlo Smuraglia ed Enzo Macrì.
Ora i piccoli segni che
tornano, i temi, le frasi smozzicate
orecchiate in aula e nei
corridoi, il clima generale del
paese, hanno indotto quegli
insegnanti e altri che allora
non c’erano a lanciare una
nuova mobilitazione. Ad
aprire, per usare le loro parole,
una fase 2 nella didattica
antimafia. E questa settimana,
sotto una scarica infinita
di acquazzoni che facevano
livido il mare dentro il porto,
è partito il nuovo seminario
di formazione per docenti.
Andrà avanti tutto l’anno, ci
si sono iscritti circa centocinquanta
insegnanti. Come non
accade a Roma o a Milano. E
come accade raramente a Napoli
o Palermo. Nando Benigno,
atipica figura di profespinge
meglio i lavori in corso
è quello raccontata da Alessandra
Lo Tesoriere, Liceo
scientifico “Epifanio Ferdinandi”
di Mesagne, una specie
di Casal di Principe degli
anni novanta. “Abbiamo coinvolto
le prime classi, sì proprio
le prime classi, in un progetto
di educazione alla legalità.
Abbiamo fatto venire anche
personalità come Giuseppe
Ayala ed Elio Veltri.
Difficoltà con le famiglie? Sì,
quando abbiamo portato i ragazzi
a visitare i terreni confiscati,
quelli in cui lavorano
le cooperative. I genitori avevano
paura che gli capitasse
qualcosa, sa, una volta Mesagne
era il cuore della Sacra
Corona Unita e ancora l’atmosfera
si sente. Invece è andata
bene. E anzi, la vuole sapere
una cosa? Che proprio i
più piccoli, i ragazzi della I°
B, oggi in seconda, hanno girato
un bellissimo videodocumentario
sulla mafia. Ayala
quando l’ha visto è rimasto a
bocca aperta”.
E cco, è questo formidabile
brulicare di fatti e di idee
che si è ritrovato la scorsa settimana
a inaugurare la fase 2
della didattica antimafia. Gli
ospiti da fuori? Di nuovo Enzo
Macrì il magistrato calabrese,
ma pure Anna Canepa,
magistrata da poco in forza
alla Procura nazionale antimafia.
E poi Antonella Mascali
e Riccardo Orioles, Stefania
Pellegrini e don Luigi Ciotti.
“Chi c’è dietro di noi? Ness
u n o ,” risponde Nando Benigno,
“faremo tutto da soli”.
L’idea in ogni caso è di collegarsi
con le altre città. Perché
qua non c’è da scherzare.
Ma nemmeno a Milano”.

Piercamillo Davigo – Lo stato della giustizia italiana

Disclaimer: il post è lunghetto ma ne vale la pena. (questo è un ricatto morale per i miei aficionados che si lamentano della lunghezza di alcuni miei post. Io vi ho avvertiti che vale la pena leggerlo).

Allora, archiviata la storia del Lodo Alfano, ecco che il “centro-destra” (le virgolette sono sempre d’obbligo) si appresta ad escogitare qualche modo alternativo per bloccare i processi del padrone. Il tutto poi nel quadro globale di una riforma della giustizia. Stiamo a posto.

Ogni volta che si sente questa gente parlare di riforma della giustizia, dovrebbero tremare le vene dei polsi. Infatti ne sento di tutti i colori, ed in particolare davvero, ma davvero non capisco come il ddl sulle intercettazioni e la separazione delle carriere dovrebbero risolvere gli endemici problemi della giustizia italiana. E’ piuttosto chiaro per chi non parli per slogan o spot ma abbia almeno un po’ di conoscenza di quello che si sta dicendo, che il tutto ha semplicemente lo scopo di rendere difficilissimo individuare i reati tipici dei colletti bianchi e portare i pubblici ministeri sotto il controllo dell’esecutivo, avvicinandoci quindi al problematico modello francese o ancor più al disastroso modello americano, non avendone nemmeno la severità ed efficacia che li distinguono (oltre al fatto che in quei modelli ci sono problemi veri di garantismo). Questo, oltre a garantire l’impunità ai parlamentari, vedi ad esempio la reintroduzione dell’autorizzazione a procedere di cui si è riniziato a blaterare negli ultimi giorni.

Ecco, in generale quando si parla di giustizia si sente di tutto, sparacchiato un po’ a caso. Io per carità, non è che abbia studiato legge, però occupandomene con interesse da diversi anni, penso magari di non capire tutto, ma di essermi fatto un’idea precisa e tutto sommato credibile e rispettabile.

Per di più sto sviluppando soprattutto negli ultimi tempi un sentimento di disgusto e repulsione per chi parla senza sapere di cosa stia parlando. Un po’ così, con qualche proclama ad effetto. Facciamo un esempio: supponiamo che qualcuno commenti la recente legge sul reato di immigrazione clandestina.

Come mi piace questa nuova legge sull’immigrazione clandestina.“. Per carità, de gustibus. In generale si potrebbe dire che mi piace una ragazza o il suo sedere. Se a uno gli piace tanto la legge sull’immigrazione clandestina, cavoli suoi.

Come mi piace questa nuova legge sull’immigrazione clandestina. Così saremo tutti più sicuri.”. Ecco no. Questa roba invece in mia presenza non passa. E la strategia è (a meno che non sia ultra-depresso o stia palesemente male) seppellire l’incauto malcapitato con *tanti e tali* argomenti da per lo meno zittirlo e rendergli impossibile di replicare. Così la prossima volta ci pensa due volte prima di dire delle corbellerie da bar sport. Se poi finirà che nessuno vorrà accennare a qualcosa di politica con me nei dintorni, meglio ancora.

Ora, in generale, il problema nel *tanti* e *tali* argomenti, è il *tali*, ovvero la loro fondatezza ed inoppugnabilità. Per il *tanti e basta* infatti, basta un Gasparri qualunque, che appunto per questo, basta emetta frasi di vago senso compiuto per coprire le voci degli altri.

Se uno, da zero, volesse saperne un po’ di più sullo stato della giustizia italiana e sui veri problemi che la affliggono e ne determinano la catastrosa inefficienza, che dovrebbe fare?

Fra i libri più interessanti e di facile lettura io consiglio sempre “Toghe Rotte” di Bruno Tinti (ed. Chiarelettere), di cui magari farò una breve recensione a parte.

Un’altra fonte di notizie sullo stato della giustizia italiana di grande rispetto ed autorità per me è sempre stato Piercamillo Davigo.

Piercamillo Davigo è stato fin dagli inizi uno dei sostituti procuratori del pool di Mani Pulite assieme ad Antonio Di Pietro e Gherardo Colombo, sotto il Procuratore della Repubblica Francesco Saverio Borrelli. E’ tuttora l’unico ancora in servizio in magistratura, dove dal 2005 ricopre la carica di Consigliere di Cassazione.

Di Davigo sono riuscito in passato a reperire numerosi video (non ho ancora letto niente di suo), e devo dire che mi è sempre piaciuto il suo modo sintetico, semplice, schietto, deciso e sarcastico di esprimere fatti ed opinioni sulla magistratura e lo stato della giustizia. Dei quattro magistrati del pool nominati prima, certamente è quello con le migliori abilità oratorie ed ha una ottima capacità di arrivare subito al punto.

Dei quattro, Davigo è quello più a destra nella concezione della giustizia (è iscritto a Magistratura Indipendente, la corrente di destra dell’ANM) e questo si può capire anche dalla differente analisi della situazione della giustizia in Italia e dall’analisi dello stato morale del paese, rispetto ad esempio a Gherardo Colombo (dei quattro, quello con l’interpretazione più a sinistra, era iscritto a Magistratura Democratica). Ovviamente, quando dico sinistra o destra per un magistrato, questo non ha niente a che fare con questioni di partiti politici, o toghe rosse, o interpretazioni fantasiose secondo cui esistano magistrati che vadano alla guerra contro il governo perché non è il partito che votano. Tanto per evitare equivoci.

Molto molto in soldoni, il cuore dell’interpretazione di Gherardo Colombo è: ci sono regole, ma le regole servono solo se l’illegalità non è la regola. Nel momento in cui l’illegalità è dilagante fra gli stessi cittadini (evasione delle tasse, etc. etc), allora le regole sono sostanzialmente inutili se non si passa per una rifondazione morale della società. Non si può delegare alla magistratura l’opera di moralizzazione della società. L’analisi sulla giustizia è ovviamente più approfondita, ma questa mi pare la parte più importante. Sono molto d’accordo con questa tesi. Gherardo Colombo infatti sta spendendo gli ultimi anni dopo le sue dimissioni dalla magistratura (in seguito alla frustrazione sullo stato della giustizia, particolarmente evidente dalla sua carica di Consigliere della Cassazione) girando per scuole ed auditorium e parlando soprattutto ai giovani della moralità come riscoperta e dovere civico. Cose che non si sentivano da anni.

Altrettanto in soldoni, (parte de) l’interpretazione di Davigo è: abbiamo un codice penale da spaventapasseri. Leggendolo ci sono pene terribili, ma poi di fatto nella loro applicazione non si manda in galera quasi mai nessuno. E se passa continuamente il concetto di impunità (indulti, prescrizione, leggi inefficaci), l’illegalità non può che aumentare.

Bene, nonostante io creda molto alla tesi di Colombo, sarà che sono un po’ anti-italiano, ma ritengo sempre più che fra la rifondazione morale del paese ed iniziare con lo sbattere in galera i criminali, inclusi e soprattutto i politici, con un po’ di certezza della pena e un po’ di minime riforme strutturali, sia molto più facile realizzare la seconda. Dopotutto, visto che agli italiani piace la frusta, e allora per chi viola la legge frusta sia.

Volevo allora segnalare il video di una conferenza svoltasi a Trento nel giugno 2008 in cui ha partecipato anche Davigo. Il video, diviso in quattro filmati youtube (poco più di 30 minuti in totale), secondo me rappresenta un breve ed efficace esame della situazione italiana e di quali possano essere i rimedi da applicare per sanarla. Davigo, con la sua consueta oratoria efficace e sarcastica ci introduce diversi argomenti:

  1. La giustizia italiana e le violazioni della legislazione europea (ragionevole durata del processo / processi agli irreperibili) – I mali del sistema giudiziario: quantità eccessiva di processi
  2. I mali del processo civile – I mali del processo penale (tipo e quantità di reati penali / conseguenze dell’introduzione di nuovi reati / terzietà del giudice / contraddittorio orale)
  3. Riforma del codice di procedura penale del 1989 – Effetti a breve e lungo termine dell’indulto del 2006 – Possibili soluzioni: riduzione del contenzioso – rendere poco conveniente resistere in giudizio – innocente fino a sentenza (come in Europa) o fino a sentenza definitiva (come in Italia)? – aumento di risorse o maggiore efficienza e meno sprechi?
  4. Possibili soluzioni: differenza fra repressione teorica e repressione applicata – la differenza fra repressione in Italia e repressione nei paesi confinanti fa importare criminalità – la virtù delle pene brevi opposta alle sospensioni delle pene – le follie paradossali delle espulsioni degli immigrati clandestini.

In particolare la quarta parte è molto efficace per dimostrare (utilizzando come esempio la recente legge sul reato di immigrazione clandestina) quanta demagogia e superficialità ci siano nella discussione su questi argomenti e di come questa legge non serva veramente a niente se non ad aggravare ancora di più lo stato della giustizia.

Un po’ di “best of:

L’Italia aveva così tanti ricorsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo contro la irragionevole durata dei processi che, la Corte Europea, la quale aveva detto che più o meno un processo si doveva considerare di durata non ragionevole se dall’inizio alla sentenza di primo grado superava i 2 anni e mezzo, ha dovuto alzare questa valutazione a 3 anni perché lei non ce la faceva più a fare le sentenze in 2 anni e mezzo perché sommersa dai ricorsi provenienti dall’Italia. Questo spiega perché poi si infuriano con noi.

La questione dei processi agli irreperibili invece è un esempio di follia nazionale. Allora, noi processiamo persone, che non si sa dove sono. Io una volta sono stato invitato all’Università Complutense di Madrid per una tavola rotonda sul rispetto dei diritti umani nei vari processi dell’Unione Europea…  ero l’unico italiano.. appena mi siedo tutti se la prendono con me dicendo: <<L’Italia è un paese barbaro ed incivile>>. E perché mai? Cosa abbiamo fatto?

…noi abbiamo un codice, che a me sembra scritto da dei malati di mente.

Terza cosa: la oralità. Ora, secondo me la oralità rappresenta il ritorno al neolitico…

Si è parlato prima del discorso dei rumeni… ma il ministro dell’Interno della Romania è stato molto duro, dicendo: <<Certo che vengono i nostri delinquenti da voi! Se gli deste le pene che gli diamo noi starebbero qui!>>

…questa idea balzana del reato di immigrazione clandestina… a parte il fatto che poi anche lì io non lo so… prevedono la reclusione fino a 4 anni. Nessuno spiega ai cittadini che fino ai 4 anni nessuno si può mettere in carcere! Bisogna metterlo agli arresti domiciliari. Ma se è clandestino dove lo metti agli arresti domiciliari?

…tenendo conto di un’altra cosa.. che tutte le volte che questi vengono denunciati.. ottengono il permesso di soggiorno per motivi di giustizia! Perché hanno diritto di difendersi nel processo!

Esempi di vita caduti nell’oblio

Esattamente trenta anni fa, il 21 Luglio 1979, veniva assassinato Boris Giuliano, il capo della squadra mobile di Palermo.

Con i suoi innovativi metodi di investigazione e il suo generoso impegno, Boris Giuliano rappresenta uno dei tanti esempi di autentica e sincera lotta dello Stato alla Mafia e proprio per questo il suo ricordo è relegato all’oblio della nostra società senza memoria e spesso solo confinato in odiosi rendiconti sulle uccisioni della Mafia.

Di tutte queste persone non si dovrebbe ricordare solo perchè sono morte, ma come sono vissute.

Germogli

Trapani sfila per un poliziotto, ma la politica non c’è

Di fronte a certi fatti, relegati, e con moderazione, alle cronache locali, la domanda: ma da che parte sta la politica, al di là delle parole? È obbligatoria. A Trapani, donne, uomini, ragazzi, ragazze, cittadini, la Cgil, sindacalisti della Cisl e della Uil, i sindacati di polizia, il Presidente di Confindustria, Davide Durante, l’Api, per la prima volta, nella storia della città, densa di omertà, hanno sfilato, per esprimere solidarietà ad un servitore dello Stato, vivo, il Capo della Squadra Mobile Giuseppe Linares, il solo dirigente di Polizia, in Italia e non solo, a vivere scortato, oggetto di gravi minacce mafiose.

L’ultima manifestazione contro la mafia a Trapani risale all’indomani dell’omicidio dell’agente penitenziario, Giusepe Montalto, era il 1995. “Io sto con Linares”, ma anche “Io non ho paura della mafia” e la combatto a viso aperto. Un’affermazione densa di coraggio in una terra dove il coraggio è quasi sempre in ferie, mentre quotidianamente, forse, più che altrove, Cosa Nostra, guidata dal suo capo Matteo Messina Denaro, fa affari tessendo la tela con la politica. Un segno importante, dunque, perché “rivoluzionario”. I cittadini stanno imparando a ribellarsi. Mentre la politica continua, muta, a guardarli. Al corteo non ha partecipato il sindaco di Trapani, Fazio del Pdl che, si era limitato ad inviare al dottor Linares una lettera di solidarietà privata, e neppure il Presidente della provincia Turano dell’Udc, neppure il senatore trapanese della commissione ambiente, Antonio D’Alì, ex sottosegretario all’Interno del Pdl. Il solo Gonfalone era quello del comune di Erice, sorretto dal sindaco, che camminava accanto ai sindaci di Campobello di Mazara, di Tranchida, di Caravà e del presidente del Consiglio provinciale, Poma.

Amministrazioni di centro-sinistra. Un fatto grave, ma non sorprendente. Le parole del sindaco di Trapani: “La mafia esiste perché esiste l´antimafia”, ancora risuonano nella memoria. Come l’ordine di trasferimento dell’ex Prefetto di Trapani, Sodano, colpevole di far rispettare la legge, senza quella necessaria moderazione per non risultare scomodo, impartito dal capomafia di Trapani, Francesco Pace in un salotto della città, come svelato da intercettazione. Nel 2003, infatti, Sodano fu trasferito ad Agrigento, la richiesta di cittadinanza onoraria votata all’unanimità dal Consiglio Comunale è da sei anni in attesa di essere conferita, mentre la Procura di Palermo indaga sul suo trasferimento. Insomma, i cittadini di Trapani hanno sfondato la porta dell’omertà e hanno iniziato il cammino della civiltà. Mentre la politica, con il suo silenzio complice, stà, ancora, al di là di quella porta, senza restare con le mani in mano, vedasi il ddl sulle intercettazioni, che distruggerà un prezioso strumento per cancellare la mafia e i suoi rapporti con la politica.

Sandra Amurri, 6 Luglio 2009, Antefatto.it

Ricordi

“[…] Sono morti per noi e abbiamo un grosso debito verso di loro… […]
Questo debito dobbiamo pagarlo…gelosamente…continuando la loro opera, rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che possiamo trarne, anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro… facendo il nostro dovere… […]
La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere, nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti, e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà, che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della complicità, e quindi della contiguità.
Ricordo la felicità di Falcone, quando in un breve periodo di entusiasmo, egli mi disse:
“La gente fa il tifo per noi”.
E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l’appoggio morale della popolazione dà al lavoro del giudice… Significava qualcosa di più! …
Significava che il nostro lavoro… stava anche smuovendo le coscienze… […]

Paolo Borsellino. Palermo, 23 giugno 1992.
Estratto del discorso per la commemorazione di Falcone ad un mese dalla sua uccisione.